II Domenica di Quaresima

SALIRE SUL MONTE… PER TORNARE A VALLE

Le riflessioni di Papa Francesco

Questa seconda domenica di Quaresima ci invita a contemplare la trasfigurazione di Gesù sul monte, davanti a tre dei suoi discepoli (cfr. Mc 9,2-10).

Poco prima, Gesù aveva annunciato che, a Gerusalemme, avrebbe sofferto molto, sarebbe stato rifiutato e messo a morte.
Possiamo immaginare cosa dev’essere successo allora nel cuore dei suoi amici, di quegli amici intimi, i suoi discepoli: l’immagine di un Messia forte e trionfante viene messa in crisi, i loro sogni vengono infranti, e li assale l’angoscia al pensiero che il Maestro in cui avevano creduto sarebbe stato ucciso come il peggiore dei malfattori.

E proprio in quel momento, con quell’angoscia dell’anima, Gesù chiama Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta con sé sulla montagna. Il Vangelo dice: «Li condusse sul monte» (v. 2).

Nella Bibbia, sempre il monte ha un significato speciale: è il luogo elevato, dove cielo e terra si toccano, dove Mosè e i profeti hanno fatto l’esperienza straordinaria dell’incontro con Dio.
Salire al monte è avvicinarsi un po’ a Dio.
Gesù sale verso l’alto insieme ai tre discepoli, e si fermano in cima al monte.

Qui, Egli si trasfigura davanti a loro. Il suo volto raggiante e le sue vesti splendenti, che anticipano l’immagine da Risorto, offrono a quegli uomini impauriti la luce, la luce della speranza, la luce per attraversare le tenebre: la morte non sarà la fine di tutto, perché si aprirà alla gloria della risurrezione.

Dunque, Gesù annuncia la sua morte, li porta sul monte e fa vedere loro cosa succederà dopo, la risurrezione.
Come esclamò l’apostolo Pietro (cfr. v. 5), è bello sostare con il Signore sul monte, vivere questo “anticipo” di luce nel cuore della Quaresima.

È un invito a ricordarci, specialmente quando attraversiamo una prova difficile – e tanti di voi sanno 1che cos’è attraversare una prova difficile – che il Signore è risorto e non permette al buio di avere l’ultima parola.

A volte capita di attraversare momenti di oscurità nella vita personale, familiare o sociale, e di temere che non ci sia una via d’uscita.

Ci sentiamo spauriti di fronte ai grandi enigmi come la malattia, il dolore innocente o il mistero della morte.
Nello stesso cammino di fede, spesso inciampiamo incontrando lo scandalo della croce e le esigenze del Vangelo, che ci chiede di spendere la vita nel servizio e di perderla nell’amore, invece di conservarla per noi stessi e difenderla.

Abbiamo bisogno, allora, di un altro sguardo, di una luce che illumini in profondità il mistero della vita e ci aiuti ad andare oltre i nostri schemi e oltre i criteri di questo mondo.

Anche noi siamo chiamati a salire sul monte, a contemplare la bellezza del Risorto che accende barlumi di luce in ogni frammento della nostra vita e ci aiuta a interpretare la storia a partire dalla vittoria pasquale. Stiamo attenti, però: quel sentire di Pietro che «è bello per noi stare qui» non deve diventare una pigrizia spirituale.

Non possiamo restare sul monte e godere da soli la beatitudine di questo incontro.

Gesù stesso ci riporta a valle, tra i nostri fratelli e nella vita quotidiana.
Dobbiamo guardarci dalla pigrizia spirituale: stiamo bene noi, con le nostre preghiere e liturgie, e ci basta questo.

No!
Salire sul monte non è dimenticare la realtà; pregare non è mai evadere dalle fatiche della vita; la luce della fede non serve per una bella emozione spirituale.

No, questo non è il messaggio di Gesù.
Siamo chiamati a fare esperienza dell’incontro con Cristo perché, illuminati della sua luce, possiamo portarla e farla risplendere ovunque.
Accendere piccole luci nei cuori delle persone; essere piccole lampade di Vangelo che portano un po’ d’amore e di speranza: questa è la missione del cristiano.

Preghiamo Maria Santissima, perché ci aiuti ad accogliere con stupore la luce di Cristo, a custodirla e a condividerla.
(Letture: Gen 22,1-2.9.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10 (dall’Angelus, 28 febbraio 2021)