Le riflessioni di Papa Francesco

UN DIO CHE STUPISCE

XIV domenica del Tempo ordinario

“Senza apertura alla novità e alle sorprese di Dio, senza stupore,
la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine.”

 

Il Vangelo che leggiamo nella liturgia di questa domenica (cfr. Mc 6,1-6) ci racconta l’incredulità dei compaesani di Gesù.

Egli, dopo aver predicato in altri villaggi della Galilea, ripassa da Nazaret, dove era cresciuto con Maria e Giuseppe; e, un sabato, si mette a insegnare nella sinagoga.
Molti, ascoltandolo, si domandano: «Da dove gli viene tutta questa sapienza? Ma non è il figlio del falegname e di Maria, cioè dei nostri vicini di casa che conosciamo bene?» (vv. 1-3).

Davanti a questa reazione, Gesù afferma una verità che è entrata a far parte anche della sapienza popolare:
«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4).

Lo diciamo tante volte.
Soffermiamoci sull’atteggiamento dei compaesani di Gesù.
Potremmo dire che essi conoscono Gesù, ma non lo riconoscono.
C’è differenza tra conoscere e riconoscere. In effetti, questa differenza ci fa capire che possiamo conoscere varie cose di una persona, farci un’idea, affidarci a quello che ne dicono gli altri, magari ogni tanto incontrarla nel quartiere, ma tutto questo non basta.

Si tratta di un conoscere direi ordinario, superficiale, che non riconosce l’unicità di quella persona.
È un rischio che corriamo tutti: pensiamo di sapere tanto di una persona, e il peggio è che la etichettiamo e la rinchiudiamo.
Nei nostri pregiudizi.

Allo stesso modo, i compaesani di Gesù lo conoscono da trent’anni e pensano di sapere tutto!
«Ma questo non è il ragazzo che abbiamo visto crescere, il figlio del falegname e di Maria? Ma da dove gli vengono, queste cose?».

La sfiducia. In realtà, non si sono mai accorti di chi è veramente Gesù.
Si fermano all’esteriorità e rifiutano la novità di Gesù.

E qui entriamo proprio nel nocciolo del problema: quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire.

Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi.
Finisce che spesso dalla vita, dalle esperienze e perfino dalle persone cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare.

E questo può succedere anche con Dio, proprio a noi credenti, a noi che pensiamo di conoscere Gesù, di sapere già tanto di Lui e che ci basti ripetere le cose di sempre.

E questo non basta con Dio.
Ma senza apertura alla novità e soprattutto – ascoltate bene – apertura alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine, un’abitudine sociale.

Ho detto una parola: lo stupore.
Cos’è, lo stupore?
Lo stupore è proprio quando succede l’incontro con Dio: «Ho incontrato il Signore».

Leggiamo il Vangelo: tante volte, la gente che incontra Gesù e lo riconosce, sente lo stupore.
E noi, con l’incontro con Dio, dobbiamo andare su questa via: sentire lo stupore.

È come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero, non è abitudinario.
Alla fine, perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui?

Perché?
Qual è il motivo?
Possiamo dire, in poche parole, che non accettano lo scandalo dell’incarnazione.

Non lo conoscono, questo mistero dell’incarnazione, ma non accettano il mistero.
Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo.

Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza, la sua “quotidianità”.

E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi.
«Tu sei uno di noi»: dirlo a Gesù, è una bella preghiera! E perché è uno di noi ci capisce, ci accompagna, ci perdona, ci ama tanto. In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società.

Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali”, che fa solo cose eccezionali e dà sempre grandi emozioni. Invece, cari fratelli e sorelle, Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana.

E allora, succede a noi come ai compaesani di Gesù, rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo.
Torno a dire quella bella frase di sant’Agostino: «Ho paura di Dio, del Signore, quando passa».

Ma, Agostino, perché hai paura?
«Ho paura di non riconoscerlo. Ho paura del Signore quando passa. Timeo Dominum transeuntem».

Non lo riconosciamo, ci scandalizziamo di Lui.
Pensiamo a com’è il nostro cuore rispetto a questa realtà.

Ora, nella preghiera, chiediamo alla Madonna, che ha accolto il mistero di Dio nella quotidianità di Nazaret, di avere occhi e cuore liberi dai pregiudizi e avere occhi aperti allo stupore: «Signore, che ti incontri!».
E quando incontriamo il Signore c’è questo stupore.
Lo incontriamo nella normalità: occhi aperti alle sorprese di Dio, alla Sua presenza umile e nascosta nella vita di ogni giorno.
(Letture: Ez 2,2-5; Sal 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6)