Eccoci nuovamente nella incertezza e negli equivoci storici nel voler narrare l' origine di questa Chiesa.
Il nome di " Musiano " o " Mussigliano " sembra sia derivato a questo luogo dalla gente " Mussilia " come dalla raccolta delle iscrizioni del Fabretti, o dalla gente " Mussidia " della quale nelle monete Consolari.
Famiglie tutte dell' Antica Roma che portarolo il loro nome in questa Provincia, quando domati i Galli Boj vennero a colonizzarla al numero di tremila famiglie.
Il molto che si ha a narrare sulla Storia di questo luogo non ci permette il racconto di tale colonizzazione, che ci riserberemo a luogo più opportuno nella storia di altra Chiesa, la di cui narrazione non esiga l' intrattenersi molto nella peculiare illustrazione della medesima.
L' antico " Musiano " o veramente " Musigliano " la di cui Chiesa era sotto il titolo di Santo Stefano di Musigliano esisteva come esiste tutt'ora in luogo o Borgata dello stesso nome dalla opposta parte del fiume Savena sul fianco di un colle a poca distanza da questo fiume; ma ora non è che un semplice Oratorio sotto lo stesso titolo di " S. Stefano di Musigliano ".
L' attuale Chiesa Parrocchiale di S. Bartolomeo fu una Abbadia di " Monaci Benedettini Neri " fondata nel territorio della suindicata Parrocchia, e intitolata a' Santi Bartolomeo e Savino.
L' addiettivo poi Piano di Macina gli venne da un Borgo di tal nome situato a poca distanza da detta Chiesa, talchè impropriamente chiamasi S. Bartolomeo di Musiano, ed un tal nome si serbò soltanto poichè così enunciato ne' Cataloghi diversi delle Chiese, e nè Pubblici Archivi, e perchè posta nel Comune di Musiano.
Abbandonando pertanto quanto potesse riguardare l' Antica Chiesa di S. Stefano di Musigliano non seguiremo che la storia della " Chiesa di S. Bartolomeo. "
Ignorasi da chi fosse fondata questa Abbadia, ma certo nol fù dalla " Contessa Matilda " nè nel 1114 come vuolsi da alcuni Storici, conciossiachè del 981 circa un certo " Conte Alberto in unione alla di lui moglie bertilla " facessero dono a questa Abbadia di vari Predii de' loro Tenimenti in Musiliano: " Venti, Cignaulo, Prà Casigno, Lovolito o Lupoleto, Linàaro (forse ora Zanarè) ".
E nel 1056 eseguissi in questa Chiesa le tante volte nominata manumissione della Schiava "Cleriza " dalla " Contessa Willa ", ed i figli di un tale " Bonardo " nel 1061 altra donazione fecero a detta Abbadia.
Per queste elargizioni arricchirono li detti Monaci in tal modo che furono in istato di acquistare nel 1099, come consta da pubblico " Istromento " rogato in Pianoro da " Giovanni Tabellione ", dalla Contessa Beatrice figlia del Conte Ugo quanto di Beni possedeva essa in Monte Calvo , e nel 1176 altri beni acquistarono dal " Conte Traversario ", e così di seguito s' accrebbe l'opulenza di questi Monaci, finchè sul principio del secolo XIV un Abate Bonifazio con sua caparbietà, ed orgoglio non li trasse quasi a ruina, talchè nel 1307 sotto il " Vescovo di Bologna Uberto" cessò detta Abbadia di avere un Abate suo proprio, e venne unita a quella di S. Stefano di Bologna posseduta di quel tempo da' Monaci dello stesso Ordine.
Nè per questo cessò Bonifazio di cozzare col buon Vescovo Uberto, talchè fu questi astretto a scomunicarlo, non solo, ma a ricorrere al braccio secolare onde reprimerne l' orgoglio.
Ma non valse pe' Monaci questa severa punizione del loro Abate, che anzi cresciuta con l'unione die questi due Monasteri soverchiamente la loro opulenza, sparì da questi regolare disciplina, per cui fu dal Pontefica nel 1336 deputato il " Vescovo di Cesena " a togliere gli abusi ch' erano invalsi, il quale suddelegò a tale uffizio " D. Bartolino " in allora Arciprete della Chiesa di Samoggia che a suo " Notaro " elesse un tale " Nicolò quondam Milanicti invalsi " di Bologna nel Settembre dello stesso Anno a compilare la visita, e ad instruire il Processo tanto dell' Abate quanto di Monaci.
Fosse però che niun frutto portasse questa inquisizione, fosse che altri agognasse al possesso di sì ricche Abbadie, è però di fatto che fu fornza nel 1447 a que' Monaci cacciati dal loro Monistero il cercare ricovero nelli altri Conventi di loro ordine.
Essendo poi accadutoche nel 1493 ad istanza di " Monsignor Giuliano " fossero introdotti a risidere nel Convento di S. Stefano in Bologna i " Celestini ", come da Bolla di ALESSANDRO VI dello stesso anno, convien credere che lo fossero del pari in quello di S. Bartolomeo, conciossiachè nella Bolla di soppressione dei piccoli Conventi emanata da INNOCENZO X nel 1652 ritrovinsi ancora registrati i Celestini di S. Bartolomeo di Musiano.
Ma quantunque abbiasi a ritenere che qui andassero a stanziare li Monaci Celestini, pure sembra non ne godessero le ricchezze.
Poichèl' Abbazia di S. Bartolomeo di Musiano sino al 1476 era stata con molte altre Chiese da SISTO IV incorporata all' Abbazia di S. Stefano in Bologna, dal cui Abbate Commendatario pro tempore, carica ed emolumento che venivano quasi sempre a Cardinaliconcesse, era eletto un Sacerdote alla cura delle anime di questa Parrocchia ed avevasi il nome ora di Cappellano, ora di Rettore ed ora di Vicario curato, al quale corrispondeva annualmente Corbe sette e mezzo di frumento, una Castellata e mezzo di uva, Fasci grossi Carra quattro ed uno di legna, Fieno Barocci tre e Lire cento venti in contanti.
Queste due Abbadie di S. Stefano di Bologna, e di S. Bartolomeo di Musiano furono da CLEMENTE XII nel 1738 date in enfiteusi perpetua al Senato e Reggimento di Bologna, trasferendosi le medesime dall' innallora abate Commendatario " Cardinale Nerio Corsini " a questa rappresentanza unitamente a tutti li Beni ed al carico sopraindicato di mantenimento del Rettore, e di qualunque altro.
Diedesi a quel punto il Senato Bolognese, mediante l'Assunteria chiamata di sgravamento a sorvegliare l' amministrazione de' Beni a dette Commende spettanti, che crebbero in prosperità con li possibili miglioramenti de' stabili urbani ed Agricoli.
E così proseguissi finchè accaduta nel 1708 la soppressione delle Abbazie e l' avocazione dei Beni loro spettanti alla Nazione, il Governo Avvocatario assunse il carico del mantenimento del Parroco di Musiano, e proseguì in quello, finchè nell' anno 1819 il ripristinato Governo Pontificio assegnò beni stabili a questa Chiesa onde si avesse perpetuamente, e con certezza congrua rendita al mantenimento di suo Rettore.
Il Giuspatronato di questa Chiesa, che come si è sopra dimostrato, appartenne da prima agli Abbati Commendatarii, che in appresso passò al Senato di Bologna, e quindi al Governo Secolare, dopo la ripristinazione del pontificio Governo, venne devoluto a questa Mensa Arcivescovile di Bologna.
Quando fosse innalzata l' attual Chiesa di S. Bartolomeo non sapremmo con precisione indicarlo, ma sembrandoci che la presente fosse la primitiva Chiesa, nella parte antica non rinnovata e che ha tuttora il Palco a travi, potrebbesì ragionevolmente credere che fosse edificata prima del mille da ricchissimi Monaci Benedettini, mentre la di lei architettura è assolutamente Bizantina, e la di Lei ampiezza è tale, che una più grandiosa certamente non ti verrà fatto di rinvenire in alcuna montana regione non solo al presente ma molto più nei secoli anteriori al mille.
Ed il solo sospetto che potesse nascere sulla antichità di sua costruzione sarebbe a dedursi dalla forma del suo prospetto, se si potesse di qualche modo essere certo che la di lui erezione fosse contemporanea alla fondazione di tutto l'interno.
Siccome però questoc differisce totalmente dall' interna architettura, poichè apparisce d' ingentilita architettura alemanna; così è manifesto che tale prospetto venne o costruito, od inventato almeno quattro secoli dopo la fondazione del corpo del Tempio.
E fu poi ristaurata nel 1475 e ne fa fede la inscrizione incisa sull' architrave di marmo all'ingresso principale della Chiesa che dice:
" Vincentius Albergatus Protonotarius Comendatariusq. dirutam instauravit MCCCCLXXV. "
Questa grande Chiesa è a tre navate, e conta per anco cinque arcate per parte di sua prima costruzione, che come si disse, è di stile Bizantino.
Lo dimostrano le qualità dei Capitelli, abbenchè forse mutilati, coll' avere tolti ad essi quelli ornamenti di rabeschi, di emblemi, di strane figure che solevansi di quei tempi in essa scolpire, e dalla forma degli Archi che non ti presentano ne il sesto acuto, ne il semicerchio, ma una figura sferoidale, mancante solo di quel segmento di circolo che importa la distanza fra loro delle Colonne.
Allorchè fondossi questo Tempio era certamente senza Cappelle nelle laterali navate, ed il maggiore altare era sul fondo del medesimo in luogo chiuso a Laici e destinato pei Sacerdoti ed altri Subalterni ecclesiastici ministri, restando al Popolo il restante della Chiesa.
Forma e costume de' primitivi Cristiani, che non popolavano come in appresso i loro Templi di molti altari; uso che s' introduesse quando ampliatosi il numero del Clero, ed introdottosi il costume di seppellire nelle Chiese, ogni agiato Cristiano desiderava persino di avere il sepolcro possibilmente sotto l' area di quella Cappella che faceva costruire, e pingue legato lasciava morendo, specialmente a que' monaci a' quali la Chiesa apparteneva.
Le navate predette in allora dovevano protrarsi sino al numero di sette per ciascuna parte finchè raggiungessero il Vestibolo del Presbiterio.
Ma sulla metà del secoloXVIII il Senato di Bologna volle immutare l' Architettura di questa Chiesa, e addimostrò col fatto che tale fosse il di lui proposito dando principio alla impresa col formare la maggiore Cappella, e le due prime laterali, ed il tratto del soffitto che le riguarda, a volta e con Capitelli d' ordine Toscano non troppo elegante; talchè era rimasta questa Chiesa un vero sconcio, sino a far dubitare se più convenisse lasciare quel tempio nella sua antica venerabile forma, o tutto innovarlo nel modo nel quale intendevasi di ridurlo.
Sconcio occorso parimenti nella Chiesa di S. Stefano, in Bologna soggetto alla stessa Commenda, ma che meno resta sensibile, poichè in parte antica di questa Chiesa non presenti alcun titolo che la facesse degna di conservazione tranne della antichità di sua fondazione.
Quello che poi sembra manifesto si è, che ove non fossero sul cadere del Secolo scorso piombate sull' Italia tante sventure, e non fossero stati tolti ed avvocati alla Nazione fra gli altri Beni ecclesiastici anche quelli delle Commende, sarebbe stata la Chiesa di S. Bartolomeo portata al suo compimento sull' ordine architettonico col quale erasi incominciata, tanto più che questo ameno soggiorno era destinato a villereccio diporto del Senato stesso.
Sette sono gli altari di questa Chiesa compreso il Maggiore.
Rappresenta il Quadro di questo S. Bartolomeo e S. Anna, ed è fresco lavoro di Giovanni Pittrice Bolognese; che non mancò mai a Bologna chi fra il sesso gentile coltivasse quest' arte divina.
Adorna il contorno del quadro un affresco architettonico simile a quello che vedesi ornare il quadro del maggior Altare della Basilica di S. Petronio in Bologna.
Fu questo Quadro surrogato ad altro che in oggi è posto nella Sacrestia, onde avere nel nuovo l' immagine di S. Anna alla quale special devozione professano li Parrocchiani.
Il quadro preesistente, che come si disse, oggi adorna la Sagrestia, vuolsi opera di Orazio Sammachini, e rappresenta la deposizione della Croce.
E questo per certo bel lavoro, di famoso dipintore, ma non potremmo convenire nella opinione che sia del Sammachini, conciossiachè non ravisiamo in questo quella fluidità di pennello ch'era proprio di lui.
Dietro a questo Altare è il Coro fornita dei relativi non ignobili stalli.
Li due primi Altari laterali appartenenti alla nuova ricostruzione ed in relazione colla Cappella maggiore sono dedicati quello alla destra alla B. V sotto l'invocazione del Carmine, quello a sinistra alli Santi Emidio e Pasquale Baylon.
Li altri quattro altari sparsi nelle due navate antiche, che come evidentemente scorgersi, furono in appresso ivi eretti, alcuni a ridosso del muro, altri entro Cappellette poco internate, e di una forma non antica, e che certamente non esistevano in questo Tempio per quanto si è detto superiormente, sono consacrati l' uno alla B. V. di S. Luca, altro alla Madonna del Rosario, il terzo nella navata sinistra è destinato a serbare un monumento esposto alla Venerazione del Popolo, che una pia tradizione ritiene essere una delle Idrie che servirono nelle nozze di Cana di Galilea, e che uguale pia credenza del olgo vuole che porti la guarigione del mal di capo di chiunque che affetto di tale malattia o temendola, ve lo introduca.
Noi non porteremo alcun giudizio, o critca su questo oggetto; altri ne giudichi.
Del resto questo mobile che vuolsi una Idria , ossia vaso da acqua o liquori, e che serviva a quel uso presso li Greci ed i Romani, forse ancora presso gli Ebrei a cui servirono in appresso e servono tuttora presso di noi e l'Orciuolo ed il fiasco e la mezzina e la bottiglia è un vaso antichissimo di bianco alabastro e di elegante scultura greca ovolata innestato nel muro colla bocca rivolta all' infuori.
Vedese essere stata tolta dal medesimo o artatamente, od involontariamente nel dissotterrarlo da qualche luogo la parte superiore che restringevasi verso l' orifizio, per la quale non avrebbe potuto lasciare l'adito ad introdurvi il Capo.
E' però a supporsi più ragionevolmente che sia stato rinvenuto così guasto, mentre se fosse stato mutilato di tal guisa dall' uomo, il taglio non sarebbe riescito ne sì scabro ne sì inuguale, apparendo persimo in parte del medesimo frazione dell' ornato che fregiava la parte superiore del maggior corpo del vaso, e serviva di base al collo.
L'ultimo altare è dedicato al SS Crocefisso.
Sui primi del Secolo scorso fu dato a questa Chiesa il fonte battesimale, e questo collocato nella prima arcata a mano sinistra di chi entra.
E' costrutto in marmo di rossa breccia, come di ugual marmo è formato lo svelto Piedistallo dell' acqua lustrale.
Il benemerito D. Giuseppe Faldini Arciprete in questa Parrocchia costrusse a tutte sue spese il Pavimento così detto a battuto, elegantissimo specialmente nel Presbitero nell'anno 1844 come si enuncia in iscrizione posta alla sinistra dell' arco della maggiore Cappella.
E' questa Chiesa splendidamente provveduta diSacri arredi, e di tuttochè di suppellettili ponno occorrere al divin culto.
La Sagrestia è sufficientemente vasta e tenuta con tutta nettezza, e decenza.
La Canonica che forma parte del vasto Fabbricato dell' antico Monistero offre se non magnificenza, certo agiatezza, e modesta eleganza.
Con decreto 1 Giugno 1813 Monsignor Conventi in allora Vicario Generale Arcivescovile elevò questa Chiesa al titolo di Arcipretura perpetua.
Esistono nel distretto parrocchiale di Musiano tre pubblici Oratorii il primo dei quali detto - Il Frascaro - è dedicato a S. Antonio da Padova, di cui era proprietaria la famiglia Antonioli, uno de' quali assegnò un Legato perpetuo annuo della celebrazione di nove messe, obbligo che passò col dominio dell' Oratorio nel Sig. Giò Maria Carboni.
Il secondo detto - del Fungarino - dedicato a S. Stefano Protomartire ed in oggi di ragione della Famiglia Lambertini sopra di un Colle alla sinistra del Savena.
Era questo Oratorio la Chiesa Parrocchiale di Musiano o Musigliano che era appunto dedicata come si disse superiormente a Santo Stefano.
Il terzo Sacro alla B. V. del Rosario in luogo detto - Zelvare - spetta alla Nobil Casa de Bianchi.
Altri due Oratorii trovansi indicati nelli atti di Sacra Visita dello scorso Secolo, i qualifuron sul finire del medesimo probabilmente demoliti, non facendosene in seguito alcuna menzione.
Era l'uno dedicato al SS. Crocifisso ed appartenva alla famiglia de' Conti Malvasia
L'altro sacro alla B.V Maria in luogo detto il Casino spettava all' Avvocato Francesco Magnani.
Dipendeva anticamente questa Chiesa dal Plebanato della Chiesa del Pino sotto la di cui dipendenza si stette sino al 12 Giugno 1600, nel qual anno passò sotto la giurisdizione di quella di Pianoro già di quel tempo eletta da Monsignor Alfonso Paleotti secondo Arcivescovo di Bologna e Plebanale, ed alla quale è tuttora sottoposta.
Ascende la Popolazione di questa Parrocchia ad oltre settecento anime.
Orbata sono ora pochi mesi del suo Pastore rapito da morte, ebbe a veniura di avere di lui Successore M. R. Don Pacifico Negri un degno Ecclesiastico, che non ismentirà certamente quello che ne ripromette il di lui modesto aspetto, e quella non comune intelligenza che ne trapela.
Confina la medesima colle Parrocchie di Pianoro, del Pino, di Sesto, di Monte Calvo, di Riosto, di Guzzano.
Dista da Bologna otto miglia, ed è sulla Strada che da Bologna guida nella Toscana uscendo fuori di Porta Santo Stefano.
Passava questa rimpetto alla Chiesa dopo difficile ascesa.
Ad agevolare detta Via, si abbandonoò quel tratto di essa che correva rimpetto alla Chiesa, ed altro se ne praticò nella parte posteriore di essa, agevolandone mirabilmente l'ascesa mediante prolungamento della medesima in più esteso gioro fino a raggiungere nuovamente sul piano la Strada Maestra.
Noi non ci estenderemo a descrivere oltre la Chiesa tutti gli adiacenti Edifizj che formar dovevano il Monastero o Abbadia de' Santi Bartolomeo e Savino; solo diremo che tranne la Chiesa, e della Torre delle Campane che più presto apparisce luogo munitissimo a difesa di quello che a contenere Campane, nulla vi resta in questo vasto Edifizio che porti l' impronta di antichità.
Imperocchè scorgesi a primo aspetto, che l' attuale Cortile interno rozzissimo, non sorse che a luogo dell' antico chiostro non da più secoli indietro, ed il Fabbricato che volge al mezzodì e s' apre versol il piano, non fu costrutto che dopo per servire a villereccia abitazione delli Abati Comendatarj, ed ai presente de' Comproprietarii del medesimo.
Amena oltre modo e la di Lei posizione, poichè qui si domina verso il Settentrione per lungo tratto l' amena vallata di Savena e i Colli che la richiudono, e dalla parte del mezzo giorno gli Appennini.
Il terreno di questa Parrocchia nella parte montana è poco fertile anzi di natura franosa, e quindi non si presta ad ubertosa coltivazione.