In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Anche in questa domenica la parola di Gesù è rivolta contro chi fa della ricchezza il fondamento della sua sicurezza trascurando Dio e il prossimo.
Nella Prima Lettura, Amos critica aspramente la corruzione di una classe dirigente che trae vantaggio dalla propria posizione sociale e non si cura del bene comune.
Ciò che al profeta sta a cuore non è tanto la giusta distribuzione del benessere economico, ma il senso di responsabilità che dovrebbero avere coloro che sono a capo di una nazione.
Essi invece sottovalutano i pericoli, si godono la vita e pongono le premesse di una catastrofe che colpirà tutta la nazione.
Di fronte a questa superficialità dettata dall’egoismo, il profeta annunzia come castigo la conquista nemica e l’esilio.
Si tratta proprio del disastro che i notabili di Israele non hanno saputo o voluto prevenire.
Nella pagina evangelica un uomo, senza nome, connotato per le sue ricchezze, è opposto ad un povero che ha nome Lazzaro, connotato per la sua estrema miseria.
La loro condizione cambia con la morte dei due protagonisti quando il ricco subirà un tormento negli inferi, mentre Lazzaro sarà nella compagnia di Abramo.
È lì che il ricco rivolge delle suppliche ad Abramo per se stesso e per i suoi fratelli: nella prima chiede un po’ di ristoro dalla sua pena, nella seconda chiede un aiuto per i suoi fratelli.
Alla prima richiesta Abramo risponde che la gioia della vita terrena, tenuta solo per se stessi, ora è causa della sofferenza e viceversa per Lazzaro.
Alla seconda richiesta Abramo dice che per la conversione non serve qualcosa di spettacolare, basta guardare alla Legge (Mosè) e alle applicazioni che da essa derivano (Profeti).
L’apostolo Paolo scrive a Timoteo “fuggi queste cose” riferendosi ai versetti precedenti, non riportati nella Seconda Lettura, in cui viene rimproverata proprio “l’avarizia radice di tutti i mali”, mentre chi teme Dio deve impegnarsi nella giustizia, nella pietà, nella fede, nella carità, nella pazienza e nella mitezza per giungere alla vita eterna.

