“Per ogni uomo e ogni donna la «vocazione battesimale» non si esprime in altro modo se non in questo essere pienamente disponibili all’annunzio del Regno con libertà e creatività.”
La nostra vita può essere annuncio del Regno, assicura il vangelo di questa domenica.
Per diffondersi in ogni luogo e in ogni cuore, il Verbo di Dio ha scelto la nostra povera umanità come luogo dove portare a compimento il disegno di salvezza universale del Padre.
Il mandato missionario non consiste nel dire o fare cose impressionanti, ma nel testimoniare con umile amore una vicinanza di Dio sempre possibile e sempre più intensa di quanto si possa immaginare o desiderare.
Naturalmente, per essere testimoni di questa inaudita intimità tra noi e Dio, occorre prima imparare a portare il mistero di Cristo nel nostro corpo e nelle pieghe più sofferte della nostra storia, fino a essere una «nuova creatura» (Gal 6,15).
Il racconto evangelico prende avvio con un’improvvisa e clamorosa espansione del numero degli apostoli chiamati a camminare «a due a due davanti» al Signore Gesù «in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10,1).
Contro ogni tendenza esclusivista o settaria, il vangelo rivela il volto di un Dio che ama coinvolgere il più possibile le differenze iscritte nella nostra umanità perché il «fiume» (Is 66,12) delle sue «consolazioni» (66,11) possa scorrere con forza e allietare ogni circostanza con l’annuncio di una viva speranza: «Pace a questa casa!» (Lc 10,5).
Del resto, per ogni uomo e ogni donna la «vocazione battesimale» non si esprime in altro modo se non in questo essere pienamente disponibili all’annunzio del Regno con libertà e creatività.
Tuttavia, per quanto le nostre spalle siano ben coperte dal volto di Dio e dal «petto della sua gloria» (Is 66,11), Gesù preferisce mettere i suoi apostoli ben in guardia rispetto alle inevitabili conseguenze cui l’annuncio (si) espone: 1«Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi» (Lc 10,3).
Un agnello in mezzo a un branco di lupi è un elemento estraneo, una mosca bianca, uno che si espone al rischio di essere scartato e ferito, proprio a causa della mitezza e della forza rivoluzionaria del messaggio di cui è interprete. Infatti, la logica delle beatitudini costringe chiunque ha avuto accesso alla vita nuova in Cristo a una condotta di vita in cui la pienezza dei tempi si manifesta nella concretezza di gesti e atteggiamenti quotidiani: essere solidali in un mondo egoista.
Condividere i beni in una società profondamente individualista, concepire l’amore non solo come un sentimento ma anche come una scelta, praticare l’onestà in mezzo alla furbizia e la giustizia dentro una diffusa illegalità, rinunciare al male anche quando è a fin di bene.
Rispettare la vita umana in ogni suo tempo e in ogni sua forma, credere che la fedeltà (non la novità) sia l’unico valore a cui non si può proprio rinunciare, iniziare e finire ogni giorno levando il cuore al cielo.
Naturalmente, si tratta di fare tutto questo senza alcuna presunzione, senza trasformare il nostro discepolato in una cattedra dove sentirci migliori degli altri o, peggio ancora, in un’arma da usare contro gli altri.
Chiunque voglia annunciare il volto di un Dio capace di accarezzare la nostra umanità «come una madre consola un figlio» (Is 66,13), deve imparare a rinunciare prima a qualsiasi privilegio che non sia quello di permettere al mistero di Cristo di incidere solchi profondi e credibili sul suo proprio «corpo» (Gal 6,17).
Tanto da poter esclamare, senza alcuna forma di vanità: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14).
Il mondo che per un apostolo del Regno è ormai da considerarsi come qualcosa di morto – o almeno prossimo a morire – non è semplicemente quella realtà in cui opera ancora «la potenza del nemico» (Lc 10,19).
È soprattutto quella mentalità capace di illuderci che ci sia ancora qualche tipo di gioia nel fatto che gli altri si «sottomettono a noi» (10,17), anziché nella possibilità di lasciarci ospitare dagli altri, con i quali ci sentiamo ormai in cammino verso una dimora eterna: «Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20).
(Letture: Is 66,10-14c; Dal Sal 65 (66); Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20)