“Prendersi cura dei malati di ogni genere fa parte integrante della missione della Chiesa,
come lo era di quella di Gesù: portare la tenerezza di Dio all’umanità sofferente”
Il Vangelo di oggi (cfr. Mc 1,29-39) presenta la guarigione, da parte di Gesù, della suocera di Pietro e poi di tanti altri malati e sofferenti che si stringono a Lui.
Quella della suocera di Pietro è la prima guarigione di ordine fisico raccontata da Marco: la donna si trovava a letto con la febbre; nei suoi confronti, l’atteggiamento e il gesto di Gesù sono emblematici:
«Si avvicinò, la fece alzareprendendola per mano» (v. 31), annota l’evangelista.
C’è tanta dolcezza in questo semplice atto, che sembra quasi naturale: «La febbre la lasciò ed ella li serviva» (ibid.).
Il potere risanante di Gesù non incontra alcuna resistenza; e la persona guarita riprende la sua vita normale, pensando subito agli altri e non a sé stessa: e questo è significativo, è segno di vera “salute”!
Quel giorno era un sabato.
La gente del villaggio aspetta il tramonto e poi, finito l’obbligo del riposo, esce e porta da Gesù tutti i malati e gli indemoniati.
E Lui li guarisce, ma vieta ai demoni di rivelare che Lui è il Cristo (cfr. vv. 32-34).
Fin dall’inizio, dunque, Gesù mostra la sua predilezione per le persone sofferenti nel corpo e nello spirito: è una predilezione di Gesù avvicinarsi alle persone che soffrono sia nel corpo sia nello spirito.
È la predilezione del Padre, che Lui incarna e manifesta con opere e parole.
I suoi discepoli ne sono stati testimoni oculari, hanno visto questo e poi lo hanno testimoniato.
Ma Gesù non li ha voluti solo spettatori della sua missione: li ha coinvolti, li ha inviati, ha dato anche a loro il potere di guarire i malati e scacciare i demoni (cfr. Mt 10,1; Mc 6,7).
E questo è proseguito senza interruzione nella vita della Chiesa, fino ad oggi.
E questo è importante.
Prendersi cura dei malati di ogni genere non è per la Chiesa un’“attività opzionale”, no!
Non è qualcosa di accessorio, no! Prendersi cura dei malati di ogni genere fa parte integrante della missione della Chiesa, come lo era di quella di Gesù.
E questa missione è portare la tenerezza di Dio all’umanità sofferente. […]
La voce di Giobbe, che risuona nella liturgia odierna, ancora una volta si fa interprete della nostra condizione umana, così alta nella dignità – la nostra condizione umana, altissima nella dignità – e nello stesso tempo così fragile.
Di fronte a questa realtà, sempre sorge nel cuore la domanda:
«Perché?».
E a questo interrogativo Gesù, Verbo Incarnato, risponde non con una spiegazione – a questo perché siamo così alti nella dignità e così fragili nella condizione, Gesù non risponde a questo perché con una spiegazione –, ma con una presenza d’amore che si china, che prende per mano e fa rialzare, come ha fatto con la suocera di Pietro (cfr. Mc 1,31). Chinarsi per far rialzare l’altro.
Non dimentichiamo che l’unico modo lecito di guardare una persona dall’alto in basso è quando tu tendi la mano per aiutarla a sollevarsi.
L’unica.
E questa è la missione che Gesù ha affidato alla Chiesa.
Il Figlio di Dio manifesta la sua signoria non “dall’alto in basso”, non a distanza, ma chinandosi, tendendo la mano; manifesta la sua signoria nella vicinanza, nella tenerezza e nella compassione.
Vicinanza, tenerezza, compassione sono lo stile di Dio.
Dio si fa vicino e si fa vicino con tenerezza e con compassione.
Quante volte nel Vangelo leggiamo, davanti a un problema di salute o qualsiasi problema, «ne ebbe compassione ».
La compassione di Gesù, la vicinanza di Dio in Gesù è lo stile di Dio.
Il Vangelo di oggi ci ricorda anche che questa compassione affonda le radici nell’intima relazione con il Padre.
Perché?
Prima dell’alba e dopo il tramonto, Gesù si appartava e rimaneva da solo a pregare (cfr. v. 35).
Da lì attingeva la forza per compiere il suo ministero, predicando e operando guarigioni.
La Vergine Santa ci aiuti a lasciarci guarire da Gesù – ne abbiamo sempre bisogno, tutti – per poter essere a nostra volta testimoni della tenerezza risanatrice di Dio.
(Letture: Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39)
(dall’Angelus, 7 febbraio 2021)